Quando la scritta sul muro mette da parte la sua fruizione di avvisarti, raccontarti e mostrarti qualcosa per passare a diventare un tipo di attacco al luogo in cui viene impressa avviene una perdita di forza della scritta stessa, dell'autore e di chi la legge. Nessuno di fronte ad una scritta incredibile potrebbe esimersi dall'esserene pervaso, ma di fronte a quelle scritte che si ripetono alla nausea, chiuse e dai caratteri ormai pubblicitari ancor più che sloganistici, le idee che emergono in chi le legge sono spesso tutt'al più delle basse considerazioni su quale diritto queste scritte abbiano di stare dove son state messe. Insomma: territorialità. Il diritto come lo conosciamo oggi è nato in conseguenza della pratica di scrivere su creta o pietra, ma da questa consequenzialità c'è un ostacolo, quindi io considero le scritte sia l'inizio che la fine del diritto; ed è per questo che quando il diritto si occupa di regolamentare le scritte e lo scritto non sta facendo altro che autodivorarsi e da una digestione di se stesso il diritto espelle gli escrementi come una grossa parte di ulteriori scritte, avvisi, slogan, murali virtuali o cartellonistici. La situazione sembrerebbe senza uscita, se non fosse che ogni tanto la nostra equipe di archeologia del presente trova ancora delle scritte che impressionano per il loro acume cosmico, scritte con o senza autore che insegnano una delle verità molteplici, delle verità possibili, piccole note di umorismo e non-pertinenza che trascendono la superata idea di libertà. Queste sono i miei maestri di scrittura, ho buttato via i miei libri, le fanzine di writing, le fanzine di tutto ciò che è venuto dopo il writing, i manuali di calligrafia storica, di grafica o di stampa antica, ho fatto stracci per la polvere delle magliette coi messaggi sagaci, politici, brand, anti-politici od attitudinali: solo disegni e religione manga. Se voglio scritte scrivo